Colui che con pazienza, passione e dedizione realizzò quanto è oggi possibile vedere

Vittorio Cini nacque a Ferrara nel 1885, ma si trasferì ben presto a Venezia. Dopo gli studi commerciali condotti in Svizzera, tornò in Italia dove si avviò alla carriera imprenditoriale nell’azienda di grandi infrastrutture e trasporti paterna. Promosse, e poi a lungo rimpianse, la realizzazione del ponte automobilistico di collegamento tra Venezia e la terraferma. Allorché assunse il controllo dell’azienda, creandone nel contempo altre, incentivò sempre più il settore dei trasporti, in particolar modo marittimi, assumenfo, entro gli anni Quaranta, il controllo dei transiti dell’Adriatico e del Mediterraneo Orientale.

Fu proprio tra il 1935 e il 1942 che, nominato conte di Monselice, e con l’aiuto principale dell’amico Nino Barbantini, portò a termine il ripristino architettonico e funzionale del Castello di Monselice.

Non cessò l’attività nelle costruzioni di infrastrutture industriali e civili (fu responsabile nella società che realizzò il polo industriale e l’insediamento abitativo di Marghera), associandola al forte impegno finanziario. Tutto questo contribuì a fargli guadagnare fama: nel 1927 fu nominato fiduciario del governo mussoliniano per lo sviluppo dell’area ferrarese; dopo poco, senatore per censo e, nel 1942, commissario generale dell’Esposizione Internazionale di Roma. L’anno successivo divenne Ministro delle Comunicazioni, carica dalla quale si dimise nell’estate del 1943 a causa di dissensi col regime. Quest’atto causò il suo internamento nel campo di concentramento di Dachau dal quale, per azione del figlio Giorgio, ma anche dei suoi notevoli agganci col mondo economico e politico tedesco, riuscì a fuggire.

Nel dopoguerra il suo impegno fu rivolto principalmente all’industria elettrica, come presidente della SADE. Nel frattempo, in un incidente aereo, moriva tragicamente il figlio Giorgio, in onore del quale, nel 1951, pose le basi della Fondazione Giorgio Cini sull’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, simbolo di un’idea che costellò tutta la sua vita e ne caratterizzò fortemente l’ultima parte: la tutela, promozione e diffusione della cultura. Era sua radicata convinzione che il riscatto dell’uomo venisse, innanzitutto, dal suo sviluppo intellettuale. In questo senso fu, nonostante la ricchezza quasi smisurata, un uomo generoso, sempre pronto ad impiegare le sue sostanze a vantaggio della collettività. In un periodo particolarmente ingrato per il Nord Est, come fu quello del secondo dopoguerra, nonostante la profonda afflizione dovuta alla perdita dell’amato erede, egli ideò il recupero di quell’isola abbandonata di fronte a Piazza San Marco.

Qui, antica sede di un importante monastero benedettino, egli volle realizzare un’istituzione orientata alla formazione dei giovani, che divenne in seguito polo fondamentale di ricerca e attività culturale e scientifica. Dalle ceneri e dalla barbarie della guerra, la nuova vita fondata sulla cultura e la ragione; dal vuoto di un affetto, una speranza di futuro per le giovani generazioni.

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Il Collezionismo e il Castello

Parte integrante della sua azione a favore della cultura fu la sua passione per il collezionismo. Passione è la parola adatta, e non commercio come sarebbe stato ipotizzabile nel momento storico in cui egli operò.

Vittorio Cini, uomo d’affari per antonomasia, avrebbe potuto trattare le stesse opere d’arte come semplice mezzo per movimentare al meglio il capitale, così come tese a fare buona parte dei collezionisti – mercanti del novecento. Si comportò, invece, come un novello mecenate, sottraendosi alla “perversa” dinamica che portò alla disgregazione e all’irrimediabile perdita di tante collezioni. Nel suo caso, invece, le collezioni non solo si crearono, ma si ampliarono a dismisura fino alla sua morte.

Si è detto che in lui si riassumessero tutte le straordinarie qualità di un acuto e munifico principe rinascimentale: “la cultura ampia e varia, il gusto sicuro, la curiosità per il bello in tutte le sue forme, la generosità nell’offrire agli altri il piacere di godere delle cose belle”.

Le sue operazioni furono sempre assistite dai migliori esperti, rivolgendosi, inoltre, ai mercanti più qualificati.

Come si è detto, ruolo fondamentale nel curare le raccolte da custodire nel Castello di Monselice ebbe il Barbantini. In piena sintonia con il sentire del suo amico e committente, egli era affascinato dall’opportunità di poter inserire gli oggetti che potevano formare un’ottima collezione, in un ambiente che li avrebbe trasformati in qualcosa di altro da una semplice raccolta: gli oggetti diventavano protagonisti della nuova vivificazione di un periodo di massima fioritura artistica e culturale quale fu il Rinascimento.

La collezione più famosa e rinomata di Vittorio Cini fu senza dubbio quella dei dipinti ferraresi e toscani del Rinascimento (oggi purtroppo smembrata, ma ricordata da due provvidenziali contributi curati da Federico Zeri), ma non meno importanti furono le collezioni di disegni, miniature e manoscritti (conservate negli ambienti della Fondazione), degli arazzi (collezione che doveva essere originariamente quasi completamente destinata all’arredo del Castello di Monselice, ma anch’essa smembrata tra la Fondazione e altre perdite) e delle maioliche (anche queste in buona parte acquistate per il Castello ma poi trasferite a San Giorgio).

Monselice può ancora godere dell’opera straordinaria di Vittorio Cini e il visitatore può ancora sentirsi “accolto” nelle stanze del castello come si trattasse di una vera residenza.

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